La stanza n.33
Quando arrivò alle nove e cinquantaquattro, con ben sette minuti d'anticipo, lei era già pronta. Il camice era già stato riposto nell'armadietto e, appena la nuova ragazza entrò, l''infermiera si infilò il cappotto, sfilò una sigaretta dal pacchetto, se la piazzò in bocca e disse: - Buona notte! -
Poi, schivandola uscì.
Francesca posò la borsetta sul tavolo verde. Oggi toccava a lei il turno di notte. Davanti a lei si presentavano otto ore. Otto ore in cui poteva accadere di tutto. Poteva essere una nottata tranquilla quella sera, in corsia. Tutto il reparto poteva dormire saporitamente, turbato solo dal russare di qualche degente. Oppure qualcuno poteva avere bisogno di lei. Allora, con un trillo, una delle tante luci numerate si sarebbe accesa e lei sarebbe dovuta andare a vedere cosa fosse successo.
Si infilò il camice e controllò il registro dei medicinali.
IL 14 doveva assumere del Plaquenil e il 22 del Citotec.
Il 7 e il 32 dell'Urbason. Bene. Il giro sarebbe stato corto.
Preparò le medicine e s'incamminò verso le stanze.
L'alto corridoio, illuminato dalla flebile luce dell'illuminazione notturna, incombeva su di lei.
- Signor Silveri?! La sua medicina! - sussurrò all'anziano uomo che, da come russava, si capiva già addentrato nel mondo dei sogni dimenticando che per quell'ora aveva il suo appuntamento con la pasticca bianca.
Il vecchio trasalì ma, dopo un momento di smarrimento, riconobbe Francesca e ingurgitò la pillola.
Finito che ebbe il giro dei medicinali ritornò alla sua postazione.
Ora veniva il bello. Cosa sarebbe successo quella notte?
Dalla borsetta estrasse il fotoromanzo con cui aveva deciso di trascorrere la notte. Aveva con sè anche una Settimana Enigmistica di riserva.
Alzò la copertina patinata. "Amore impossibile" era il titolo.
"Guido non avrebbe mai acconsentito al divorzio e questo straziava il cuore di Tiziana che voleva sposar..."
Un trillo improvviso le fece interrompere la lettura. Il numero 16 era illuminato.
- Il signor Cervini... - pensò Francesca - deve avere di nuovo rovesciato il pappagallo... -
Andò in bagno, prese l'occorrente e si avviò alla sua missione.
Venti minuti dopo aveva finito. Si buttò sulla poltroncina e riprese a leggere.
Il campanello trillò improvvisamente. Sussultò. Si era addormentata. Guardò il quadro luci. A una prima occhiata sembravano tutte spente. No, nella parte destra, in basso, l'ultimo numero era acceso. Il numero 33.
- Il 33? - mormorò. Non si ricordava chi c'era al 33. L'ultima stanza finiva col 32, dove c'era la vecchia signora Blasetti.
Spinta anche da molta curiosità, Francesca si alzò e si diresse a passo svelto verso la fine del corridoio. Non l'aveva mai notato prima. Effettivamente, alla fine dell'austera corsia, frutto della più tipica architettura fascista, c'era una stanza. La lampadina, posta sopra la porta, era illuminata.
Si affacciò. Adagiata su un letto, vestita con una camicia da notte, c'era una vecchia.
Il suo viso era scolpito da innumerevoli rughe e le mani, raggrinzite, formavano un arco a causa della loro impossibilità a chiudersi.
Quando Francesca entrò, sollevò lo sguardo e disse piano:
- Buonasera... -
Lì per lì, la ragazza rimase colpita dal modo gentile, da quel timbro di voce così signorile, distante anni luce dalla triste e misera arroganza degli ospedali.
- Buonasera signora - rispose - ha bisogno di qualcosa? -
- Le mie medicine... devo prendere le mie medicine... -
- Beh, signora, veramente qua sul registro non risulta niente... -
- Il dottore non me le vuole dare... ma lei è così buona, signorina... mi dia le medicine... -
- Io non posso... -
L'anziana donna sollevò un braccio: - Per favore... -
-Va bene, - disse Francesca, che impietosita da quello spettacolo decise di farle assumere un placebo, - torno subito. -
Si affrettò a percorrere di nuovo il corridoio e raggiunse la guardiola. Aprì il cassetto dei medicinali.
- Ecco qui... Verbantin. - mormorò mentre estraeva il pacchetto bianco. Il Verbantin era solo una compressa di olii vegetali. Un farmaco fasullo per tranquillizzare la gente.
Prese la pillola, la posò sul piattino metallico e si diresse di nuovo verso la fine del corridoio. Ma, quando giunse in fondo, il piattino le cadde dalle mani. Si fermò immobile. Non poteva credere ai propri occhi. La porta, la stanza 33, era sparita.
Quando giunsero le sei, l'ora stabilita per il cambio, lei era ancora immobile sulla poltroncina. Non aveva fatto altro tutta la notte che ripensare a ciò che le era accaduto.
La sua sostituta entrò e la vide in quello stato.
- Hai finito il fotoromanzo? Me lo presti? - le chiese.
- Fai pure - rispose. Poi si alzò e si affacciò nel corridoio.
Ora era inondato di luce. Poteva vederlo tutto. Fino alla fine. Fino al muro.
Ritornò nella guardina per togliersi il camice. I suoi occhi finirono sul quadro luci. In fondo a destra c'era il 33.
- Dov'è il 33? - chiese di scatto alla collega.
- Non c'è nessun 33! - rispose quella, già piazzata sulla poltroncina a sfogliare la rivista.
- Ma sul quadro luci c'è un 33! -
- Ci sarà pure... senti, io sono qua da due anni e so ancora poco... chiedi a Elio che se ne sta qua da quindici! -
Già. Lui le avrebbe dato una spiegazione. Se ce ne fosse stata una.
- La stanza 33? - chiese divertito - e da quel che dì che non c'è più! Prima della
ristrutturazione dell'ospedale, quando ancora c'era, ci tenevamo i malati terminali... -
- Ma adesso? -
- Adesso?! - rispose l'infermiere - vieni a vedere con i tuoi occhi! - e condusse Francesca fino alla fine del corridoio, ed entrarono nell'ultima camerata.
- Vieni alla finestra e guarda! -
Si affacciò. Là, dove una volta c'era qualcosa, ora c'era il vuoto. Un vecchio filamento di ferro penzolava ancora miseramente.
- Dieci anni fa - spiegò Elio - hanno buttato giù la vecchia ala. Ma perchè volevi avere notizie sulla 33? -
- Beh ecco...io ieri sera ho visto... -
- No! Mio Dio! Anche tu...una vecchia? Nella 33? -
- Si! -
- Mio Dio! Usciamo, che ti racconto una cosa. -
Ritornarono nel corridoio e si sedettero su una panchina.
- L'ultima ospite della 33 fu appunto una vecchia. Morì perchè l'infermiera si scordò di darle le medicine. Lei suonò il campanello per avvisare qualcuno, ma questa non sentì. Stava vedendo la tv con le cuffie e a quella disgraziata prese un infarto e ci restò secca. Bene, due sere dopo trovarono l'infermiera morta nella stanza numero 33.
Nel corso degli anni alcune infermiere hanno sentito la chiamata e visto la vecchia. Tutte si sono trasferite. Se vuoi, puoi farlo anche tu...-
- No- rispose- devo solo convincermi che tutto ciò non esiste. Questo lavoro mi serve, è difficile trovare posto da un'altra parte.-
- Fai come credi- rispose lui.
La pubblicità su "Grand Hotel" le sorrideva. La famosa presentatrice televisiva ricordava: - Adesso è il momento di comprare il telefonino!- .
Già, lei odiava i telefoni eppure un telefono cellulare le avrebbe fatto comodo quella notte. Per chiamare aiuto. Il telefono dell'ospedale infatti, quello posizionato sulla sua scrivania, era utilizzabile solo per ricevere. Un ingegnoso lucchetto bloccava l'uso del disco. Così si era fatta prestare il cellulare di una sua amica, e ora con questa sicurezza in più, si apprestava a fare il turno serale.
La notte fuori era buia, senza luna. Sull'ospedale era calato un silenzio di tomba. Aprì la rivista, ma con la coda dell'occhio fissava il tabellone, come si aspettasse da un momento all'altro che la casella 33 si illuminasse.
Poi abbassò lo sguardo sul fotoromanzo.
Incominciò a leggere a bassa voce.
- Non mi avevi mai detto che avevi una sorella...-
- Mia madre in realtà era l'amante di...-
Il trillo arrivò. Inaspettato.
Alzò pian piano il viso.
12.
Per fortuna era soltanto il 12. Il signor Grassi.- Perchè non lo ricoveravano in geriatria quello lì.- pensò.
Il vecchio voleva solo bere. Francesca gli diede un bicchiere d'acqua. Rimise a posto il brick di cartone sul comodino e si rincamminò verso la guardiola.
Era quasi giunta a destinazione, quando risentì il trillo.
- Cosa c'è ancora, signor Grassi...- disse voltandosi.
Ma poi si bloccò. Tutte le lampadine poste sopra gli ingressi delle stanze erano spente. Tutte tranne una. Una flebile luce che proveniva dalla fine del corridoio. Quella della stanza 33.
Francesca chiuse gli occhi. Li riaprì. La stanza era ancora lì.
Afferrò il cellulare che portava in tasca e fece il numero della polizia.- Pronto? Presto venite all'ospedale, reparto medicina! Presto!- Poi chiuse. Se avesse spiegato ciò che accadeva non sarebbe venuto nessuno.
Ora avrebbe atteso l'arrivo della polizia, non si sarebbe mossa.
Il trillo si ripetè. Ancora una volta. E un'altra.
Una voce si levò dalle prime camere: - Infermiera! Vada a vedere! Non si riesce a dormire con questi trilli!-
Ancora non arrivava nessuno. Francesca si incamminò lungo il corridoio.
Arrivò infine davanti alla porta. L'aprì.
La vecchia la guardò benevolmente: - Salve, ha portato le mie medicine?- .
Francesca era ammutolita. Poi mormorò: - Ma lei è morta?!-
Il viso della donna cambiò espressione di colpo.
- Se sono morta tutto ciò non ha senso.-
D'improvviso tutto scomparve, la vecchia, il letto, la luce, la camera.
E Francesca si ritrovò nel buio. A cinque piani dal suolo.
Nel vuoto.
Quando arrivò la polizia e trovò il corpo della ragazza, sfracellato sul lastricato del giardino, tutto l'ospedale si risvegliò. Com'era possibile? Un'infermiera giovane e bella che si butta dalla finestra?
- La cosa strana - disse il commissario - è la traiettoria di caduta. Come fa a buttarsi dalla finestra e cadere invece venti metri più a sinistra? Non c'e nemmeno un cornicione...se l'ospedale non fosse stato ristrutturato e ci fosse ancora la vecchia ala, sembrerebbe come se stesse proprio sopra...-
- La camera numero trentratre.- mormorò Elio, l'infermiere.
Tirò un ultima boccata alla sua sigaretta, poi la scagliò nell'oscurità, dove si spense con un sibilo.
© Aldo Emanuele Castellani, 2010